giovedì 26 gennaio 2017

Errori da principianti, e un po' di sana ironia

Ci siamo passati tutti. Chiunque abbia preso in mano una penna e abbia cominciato a mettere sulla carta i propri pensieri e organizzarli in una storia, si sarà accorto rileggendo dopo tempo (o, se è stato fortunato, qualcuno glielo avrà fatto notare prima) di qualcosa che stona, di una imperfezione, di un errore a cui porre rimedio. E non mi riferisco a refusi ed errori di distrazione, o a castronerie di ortografia o di grammatica: perché i primi sono scusabili, mentre i secondi, specie se abbondanti, dovrebbero far considerare di riprendere in mano i testi scolastici e rimettersi a studiare.

No, io mi riferisco a quegli errori da principianti che non ti insegnano a evitare a scuola. Quelli di cui ho quaderni pieni, pagine e pagine di storie, racconti, abbozzi che sono i miei esperimenti falliti. Quelli che non mostrerei mai a nessuno, ma che tengo per capire quanta strada ho fatto e quanta ne posso ancora fare. Quelli per cui la cura è la pratica, i consigli di qualcuno che riesca a mettere da parte ogni remora e darti un'opinione onesta e, se serve, brutale, e soprattutto tanta lettura dei testi di chi questa prima fase l'ha oltrepassata, con un occhio critico per cercare di individuare cosa funziona e cosa no. Oltre, naturalmente, alle tante risorse che è possibile reperire adesso: libri, corsi, gruppi, articoli su blog che trattano di scrittura creativa.


Con il racconto di lunedì, Eroi di carta, mi sono divertita nell'inserire, prendendomi un po' in giro, alcuni di quei piccoli o grandi errori che nel corso del tempo ho scoperto e corretto nei miei racconti. Eccone alcuni.


Protagonista "Mary Sue"
"Non ti capisco. Se rappresento il tuo sogno divenuto realtà, non dovresti rendermi le cose facili?"

Come ho già accennato qui, scrivere di un personaggio troppo simile a te, in particolare se migliorato da una caratteristica che non hai e che vorresti (nel racconto, essere una scrittrice affermata), presenta più di un rischio. Oltre a indurre alla pigrizia perché non serve pensare troppo per capire come reagirebbe in una situazione (ovvio, come te!), rischia di trasformarsi in una specie di supereroe a cui va miracolosamente tutto bene. Perché, ammettiamolo: chi vorrebbe gettare se stesso nell'abisso di dolore, disperazione e pericoli mortali in cui uno scrittore invischia i suoi personaggi? Così, nell'universo che hai creato, tutti amano quella versione di te; lui o lei è affascinante, ricca, fortunata, brava in qualunque cosa faccia, e se per caso nella storia c'è qualcuno che non ci crede o critica il tuo specchio ingranditore fatto di inchiostro, ecco che viene osteggiato e deriso dal resto dei personaggi, o gli capita qualche disgrazia, calata dall'alto dalla penna di chi scrive, per punirlo di aver osato tanto.

Quando ho riletto la storia di Mayaselena prima di scrivere il brano per la parola Halleluia, mi sono messa le mani nei capelli per la quantità di situazioni che lei, una bambina, riusciva a risolvere in fretta e senza troppi sforzi o aiuti; e allo stesso modo ho inorridito per la facilità con cui i suoi parenti, in teoria adulti e responsabili, acconsentivano alle sue richieste, nonostante tali richieste avessero come conseguenza pesanti svantaggi per loro, anche di natura economica. Mi occorrerà un attento lavoro di revisione, se mai riprenderò in mano quella storia, per renderla abbastanza decente da consentire a qualcuno di leggerla.


Problemi di coerenza nelle descrizioni
"Come quella sigaretta scomparsa. Poco professionale da parte sua. Io almeno sarei stata abbastanza attenta da cancellarla anche prima."

Succede anche nei film. In un'inquadratura è presente un oggetto, e in quella dopo, eccolo che scompare. Scrivendo un racconto, ti può capitare di dimenticare ad esempio che il protagonista afferra un martello, e l'istante successivo gesticola con tutte e due le mani libere. Oppure hai cambiato il colore dei capelli di un personaggio minore in corso d'opera, e ti sei dimenticato di aggiustare quel dettaglio in una precedente apparizione. Questioni che si possono aggiustare facilmente con un po' d'attenzione: in una storia che ho scritto, ad esempio, c'è un dialogo in cui le due persone che parlano si spostano di frequente nello spazio e l'uno rispetto all'altra. Ho dovuto leggere tutta la scena escludendo le parti di dialogo per essere sicura che i due fossero sempre esattamente dove dovevano essere.


 Problemi di coerenza nella trama
"Se inventi una regola, dev’essere valida sempre. Oppure devi far capire a me e ai lettori perché a volte non funziona."

In questo caso non si tratta soltanto di distrazione: qui c'è qualcosa che non va a livello della struttura della storia. In particolare per un romanzo o racconto fantasy, in cui tante delle regole che reggono quel mondo sono inventate a tavolino dall'autore, la coerenza è quell'equilibrio che consente al fragile castello di carte di stare in piedi invece di crollare su sé stesso. Non è una questione frivola, o marginale. Come ho spiegato qui, il lettore è intelligente, si pone domande, e se scopre che lo stai prendendo in giro, "accendendo e spegnendo" una determinata regola senza altro motivo del far proseguire la storia lungo il binario che hai scelto, può decidere, e ne ha tutto il diritto, di smettere di leggere.

Come lamentato dalla protagonista, l'intero racconto Eroi di carta è fondato su un problema di coerenza di trama: una "magia" che arbitrariamente, senza alcuna spiegazione, funziona ovunque tranne che nell'ufficio dell'editore. Ma in questo caso l'errore è voluto: in fondo è solo una scusa per ironizzare su simili incoerenze, una parodia senza alcuna pretesa che la "storia nella storia" venga presa sul serio. E la rivelazione che la scrittrice stessa sia un personaggio fittizio offre una spiegazione all'incoerenza, sistemando il tutto.


Nomi
Diada. Inconsu. Pertrafra. Regno di Areereire.

Questo non è esattamente un errore, o almeno non sempre. C'è una tendenza che ho notato negli aspiranti scrittori italiani, e anche in me: scegliere per i propri personaggi nomi inglesi, in particolare nomi che non abbiano un'ovvia versione italiana, nomi come Derek, Ethan, Megan, Sheila... Probabilmente, in questo caso, la tendenza è dovuta alle letture prevalentemente anglosassoni di cui ci nutriamo. Intendiamoci, non c'è nulla che vieta la scelta di tali nomi, se il personaggio è davvero di origini inglesi o americane, o se è chiaro che i suoi genitori, pur se italiani, lo hanno scelto ispirandosi a un attore, a un personaggio storico o letterario.

Diverso è il caso di un elfo che vive in una terra incantata in cui l'Inghilterra nemmeno sanno cosa sia. Dare un nome inglese a un tale personaggio, o alla città o al mondo in cui vive, solo perché ha un suono che ti sembra esotico, è una particolare forma di problema di coerenza nella trama. Come è possibile che una razza che parla l'alto elfico chiami la propria casa, ad esempio, "Dream Forest"? Più plausibile è che, dovendo tradurre tutto ciò che dice a un lettore italiano, l'elfo in questione esorterà un suo simile con un "Lasciamo questi sciocchi umani al loro destino, amico mio, e torniamo nella nostra verde Foresta dei Sogni". E non con un "Lasciamo questi sciocchi umani al loro destino, amico mio, e torniamo nella nostra verde Dream Forest". Quale delle due secondo te suona meglio?

Non sono immune dal fascino dei nomi anglofoni. Nel caso di Eroi di carta, ormai ero già abbastanza allenata da schivare la tentazione per scegliere, invece, di simulare nomi esotici con le italianissime preposizioni e le tre coniugazioni dei verbi imparate a memoria a scuola. Ma giusto per fare un esempio, prima di essere Jossintaur degli Erranti, il protagonista del brano collegato alla parola Gibigiana si chiamava Jonathan. Perlomeno, avevo avuto l'accortezza di non aggiungere un orrido "dei (o of the) Wandering".


Stereotipi abusati
"Paradossalmente s’intona con la sua tunica viola ricamata di glifi alchemici, la sua aria misteriosa e altera, la sua specializzazione in incantesimi dell’aria e dell’acqua."

Ci sono tipologie di personaggi talmente sfruttate da essere diventate ormai delle macchiette. Il possente guerriero in armatura, forte ma stupido, oppure ingenuo. La maga affascinante e misteriosa, sicura di sé, cinica e superba. L'animale da compagnia, o famiglio, che in buona parte dei casi è un lupo, o un corvo, o perché no, un drago. Quante storie fantasy riesci a ricordare che non contengono una di queste figure? Quante ne conosci che rovesciano lo stereotipo, creando personaggi diversi dai soliti archetipi che compiono le solite azioni?

Di principi che salvano principesse prigioniere ce ne sono a bizzeffe. Di orchi che fanno la stessa cosa, uno solo.

E scommetto che, al contrario di quei principi, di quest'ultimo ti ricordi il nome.


Salterò le tre frasi per stavolta, ne ho già citate abbastanza da aver quasi ricopiato l'intero racconto. Ah, dimenticavo, una curiosità. Tra gli errori da principiante inseriti volutamente nel testo per ironizzare su di essi, me ne è scappato uno di reale e non voluto. E lì è rimasto, a testimoniare al lettore più attento del tempo in cui non avevo ancora preso la patente e non ero del tutto consapevole di come funziona un'auto. Te n'eri accorto?

L'appuntamento è a lunedì per il prossimo incipit.

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