lunedì 25 marzo 2024

Vita su Marte


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Foto di Following NYC da Pexels


Il vento spirava dai canyon della Valle Marineris in raffiche costanti che sollevavano una bruma di polvere rossa tra le ruote e gonfiavano la vela della carronave in testa alla carovana. Avevamo ormai superato la regione di Tharsis e stavamo attraversano a velocità costante l'Amazonis Planitia, in quella che sarebbe dovuta essere la parte più semplice della nostra spedizione, quando avvenne il primo intoppo.
Senza preavviso, l'asse anteriore della carronave si ruppe e la prua si piantò a terra di colpo sollevando nuvole ancora più alte di polvere rossastra.
Noi ragazzi che sedevamo in testa a controllare la vela tirammo tutti su i fazzoletti legati al collo per proteggerci il naso e la bocca dalla nube di sabbia densa come il fumo.
Graeg, che manovrava il timone, imprecò e venne subito a chiederci cos'era successo. Anzi, no: cosa avevamo fatto. Sembrava essere lo sport preferito degli adulti, quello di darci la colpa di qualunque cosa fosse successa mentre eravamo nei paraggi, anche di quelle per cui chiaramente non potevamo essere responsabili. Figuriamoci come avremmo potuto rompere l'asse che stava sotto il nostro mezzo di trasporto e che poteva sopportare forze nell'ordine di tonnellate, con le nostre sole mani e stando sopra la carronave.
Brontolando, una volta esaurito il compito di riempirci di biasimo e di sacrosanta vergogna, di cui non avevamo provato nemmeno un'oncia, Graeg scese dalla carronave a cercare che cosa davvero aveva provocato quel guasto. Sparì nella nuvola di polvere e lo sentimmo armeggiare sotto il pesante mezzo corazzato senza un minimo di precauzioni per evitare di finire schiacciato, e quando ricomparve ci disse che aveva trovato il responsabile: una punta rocciosa dura e aguzza che sporgeva dal terreno.
– Colpa vostra! – disse Graeg, che non aveva ancora rinunciato a praticare quello sport. – Avreste dovuto avvistarla e avvertirmi!
Nel frattempo, il resto della carovana su cavalli di ferro ci aveva raggiunti e si era radunata per supervisionare l'operato di Graeg.
– Serve la colla tripla forza – disse uno dei cavalieri.
– Una saldatura, altro che colla! – protestò un altro.
– Voi siete tutti matti – disse un terzo. – Con un danno così non si può fare niente, o ci troveremo di nuovo chiappe a terra tra una decina di chilometri o anche meno. Tocca per forza farsi mandare un asse di ricambio dalle officine di Arsia Mons.
– Sì, e chi ci pensa a cambiare l'asse, tu? – ribatté il primo che aveva parlato.
– Che ti credi, io ho fatto il meccanico sull'altipiano di Syrtis Major per venti anni, venti dico – ribatté l'interpellato. – Aggiustavo volonavi come ridere, una carronave è un gioco da ragazzi. Datemi solo la leva giusta, e vedrete...
Noi ragazzi sospirammo e ci fissammo negli occhi. Non potevamo fare niente, per il momento, se non aspettare che gli adulti si mettessero d'accordo su come risolvere il problema. La nostra opinione non sarebbe nemmeno stata presa in considerazione.
Sapevamo tutti fin troppo bene quanto fosse importante recuperare al più presto un carico di ghiaccio dalle Cerberus Fossae per rifornire le città abitate al di là della Valle Marineris, e quel contrattempo proprio non ci voleva. Mesy, abbattuta, giocherellava con il suo planetario olografico. Dopo un colpetto che mandò il suo Marte in miniatura al di là del sole, domandò distrattamente: – Voi ci pensate mai come sarebbe stato nascere su un altro pianeta?
– Sarebbe bello non dover andare continuamente a prendere il ghiaccio – disse Sowu.
– Ah, se fossimo nati su una delle lune ghiacciate di Giove! – gli fece eco in tono sognante Rovani.
– Per conto mio, preferirei essere un venusiano – affermò Tikal. – Saper respirare nubi di gas e non farsi niente dev'essere davvero forte!
– Sì, e poi non potresti andare da nessun'altra parte – gli ricordai io. – Perché soffocheresti senza i tuoi amati gas acidi.
– Se fossimo nati su Mercurio – considerò Raremi. – Non patiremmo mai il caldo o il freddo, perché saremmo abituati. Io qui certe volte ho freddo la notte, e siamo solo a settanta gradi sotto zero. E tu, Mesy? Se non fossi nata su Marte, da quale mondo ti piacerebbe venire?
La ragazzina, la più giovane del nostro gruppo, mugolò pensosa, giocò brevemente con i mondi olografici del suo planetario, e infine disse: – Io penso che sarebbe bello nuotare in un gigante gassoso. Nettuno, ad esempio, oppure Saturno. Chi è nato su quei pianeti è fortunato. Non deve andarsene in giro in cerca di ghiaccio, e può fare tutto quello che vuole.
Quando Mesy smise di parlare, rimase solo il respiro cupo del vento che faceva turbinare la polvere rossa attorno alla chiglia della carronave, e le invettive degli adulti che ancora non avevano deciso come procedere. Si erano tutti espressi, tranne me.
Tikal e Sowu chiesero a più riprese la mia opinione. – Il terzo pianeta dal sole – mormorai io, fissandolo. Non aveva nome, quel mondo, perché nessuno sulla sua superficie glielo aveva dato. – Ci pensate mai a come sarebbe stato se anche quello avesse ospitato la vita? Che suono avrebbe avuto il suo vento, e come si sarebbe evoluta la sua forma di vita intelligente? C'è così tanto ghiaccio, che immagino che sarebbe stato bello viverci.
Raremi si grattò una guancia. – In realtà, gli scienziati dicono che c'era vita all'inizio, delle forme di vita unicellulari. Poi qualcosa è andato storto, e non se ne è fatto niente. Peccato. Sarebbero stati i nostri vicini.
Sospirammo, nel ricordare quello che avevamo appreso a lezione.
– Ehi, voialtri scansafatiche! – ci chiamò Graeg. - Smontate da lì sopra e venite a darci una mano, per quanto potete essere utili.
Evidentemente, gli adulti avevano finito di discutere e si erano messi d'accordo su cosa fare. Lasciammo da parte tutti i nostri "e se" e ci sbrigammo a scendere sul suolo marziano, subito avvolti dalla sabbia rossa sollevata dal vento. Era inutile fantasticare su cosa poteva essere, se le cose fossero state diverse. Eravamo nati su Marte, e il trasporto del ghiaccio era la nostra vita e la nostra fonte di sostentamento.