giovedì 22 dicembre 2016

Prendere spunto dal quotidiano... ma non troppo

Ancora una volta nessuna mappa è stata necessaria per condurmi nei meandri della storia che ho scritto. Nessuna domanda tra i miei appunti, nessun elenco di possibili trame da vagliare.

Forse perché gli elementi di quell'incipit ce li avevo davanti agli occhi.

Scrivendo in pausa pranzo, tra la mensa e la saletta in cui mi ritiro quando devo rileggere ad alta voce per la fase di correzione, li potevo persino indicare. Ecco lì la macchinetta del caffè. Per di qua c'è l'attaccapanni. E basta infilare la testa oltre la porta dell'ufficio per trovare fogli A4 stampati che possono benissimo diventare, nella mia mente, il comunicato dell'incipit.

È fin troppo facile guardarsi attorno e trovare ispirazione in quanto ti circonda. Metti le ali e ingigantisci una lucertola, ed ecco un drago. Aggiungi un corpicino umano a una farfalla e ti basta per immaginare una fata. Lo faccio anch'io, da sempre, anche con situazioni ben più normali. Un esempio? Nel periodo in cui stavo scrivendo il primo racconto, "Sentirsi", avevo cominciato a ridurre la quantità di zucchero nel caffè. Mai arrivata a ridurlo completamente, ma è da lì che proviene quel "La prima volta è stato per sfida; ora, da quando c’è lui, dello zucchero non ha più bisogno."

Scegliere di prendere spunto dalla realtà per ambientazione e piccoli dettagli modificati e romanzati è semplice, e risolve il problema principale che ha invece chi tratta di argomenti e luoghi molto lontani da quelli che ben conosce: la necessità di fare ricerche e informarsi in modo approfondito. Ma se risolve un problema, ne crea altri. Uno è che potresti dare per scontati elementi che ti sono fin troppo noti e quindi vivi come "normali", mentre per chi non conosce quel luogo, stile di vita, professione e cultura non lo sono affatto. Un altro, molto pericoloso e frequente nei giovani autori, è che potresti inavvertitamente "scriverti" nella storia. Ovvero identificarti troppo in un personaggio, al punto da farlo diventare una tua versione rivista e migliorata (più forte, più abile e capace, più popolare, carismatico, dotato di magia o di ascendenze nobili ecc.). Un tale personaggio, se non controllato e ridimensionato, finisce per offrire a chi lo scrive una rivalsa, sulla pagina, rispetto ai grandi o piccoli problemi della vita; mentre risulta noioso o persino irritante per chi legge. Perché non c'è nulla che lo metta davvero in difficoltà, non c'è problema che non riesca subito a risolvere con le sue mille doti, non c'è conflitto nella storia che lo riguarda.

Se ti interessa approfondire l'argomento, ti basta cercare "Mary Sue" come viene generalmente chiamato un personaggio di questo tipo, per trovare articoli dettagliati e persino test per comprendere se un tuo personaggio si avvicina al cliché.


Tornando all'incipit di lunedì, per evitare il rischio di avvicinare troppo la storia alla realtà, ricordo di aver usato tre accorgimenti.

Uno, non ho scritto di nulla che sia davvero accaduto nel mio ufficio (anche perché, in generale, schivo come la peste le storie autobiografiche...).

Due, seppure li avessi davanti agli occhi, ho immaginato una macchinetta del caffè diversa, una diversa mensa e attaccapanni, un ufficio organizzato in un altro modo e popolato da differenti persone.

Tre, ho analizzato gli elementi dell'incipit quasi fossi un'investigatrice, cercando di metterli insieme e ricostruire da quei pochi dettagli il perché di quella luminosità nello sguardo e di quel sorriso, la relazione tra i personaggi, l'incidente che ha portato all'ingessatura e soprattutto la più misteriosa delle questioni: che cosa diavolo dice la scritta storta sul gesso? Il tutto rapportato al "Segreto star bene" del tema/titolo.


Niente spoiler e trame multiple per stavolta. Lunedì prossimo, stando comodamente a casa, potrai entrare in ufficio e scoprire quale segreto ho immaginato.

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