giovedì 5 gennaio 2017

La sospensione dell'incredulità

In narrativa esiste una cosa chiamata "sospensione dell'incredulità". La prima volta che ne sentii parlare fu in una introduzione scritta da Asimov a una serie di racconti per ragazzi, di autori vari. Avevo quattordici anni.

La sospensione dell'incredulità è una specie di contratto tra l'autore di una storia e chi la legge, guarda o ascolta. Detto in parole povere: io lettore/spettatore accetto come realistico e plausibile quanto narrato all'interno della storia purché tu autore non tiri troppo la corda. Quando esattamente si arriva a quel punto di rottura in cui non è più possibile la sospensione dell'incredulità è in parte soggettivo, e in parte dipende dal tipo di storia. Tanto per fare un esempio: difficile continuare a credere alle vicende presentate in una commedia romantica se di punto in bianco, senza nessun indizio nelle scene o capitoli precedenti, spuntasse un elfo o un alieno o un vampiro. Al contrario, è possibile sospendere il giudizio di fronte a eventi che nella realtà non sono possibili se sono coerenti e spiegabili all'interno della storia, fosse anche con la semplicissima spiegazione "magia!".

Qualunque sia la spiegazione, deve però avere regole (ed eccezioni) precise e infallibili, spiegate a un personaggio che non le conosce o deducibili dal lettore/spettatore se implicite. Se la magia in una storia richiede sempre l'uso di bacchette e ingredienti, non può esistere un personaggio in grado di lanciare un incantesimo se privato della bacchetta. Crearlo significa dover creare un'eccezione, sotto forma ad esempio di un "prescelto", che però va preparata in anticipo con indizi inseriti nella storia capitoli prima della "rivelazione" che il prescelto è proprio quel personaggio. Ci vuole coerenza, innanzitutto. Non è possibile sospendere le regole quando si vuole per togliere dai guai un determinato personaggio, e pretendere che la storia venga ancora seguita con la medesima, volontaria, sospensione dell'incredulità da parte di chi legge o guarda!

La sospensione dell'incredulità, se è fondamentale in caso di storie di genere come fantasy e fantascienza, è comunque utile anche in caso di storie in cui non avvenga niente di fisicamente impossibile. In queste storie, alcune volte è necessario alla trama che un personaggio compia un atto stupido, che faccia un errore banale, o che se ne esca con un'idea campata in aria e irrealizzabile. Per poterlo fare senza perdere la fiducia del lettore nella storia, due sono i metodi che uso: primo, la personalità, le esperienze e la situazione in cui il personaggio si trova devono essere coerenti con l'atto o discorso oggettivamente sciocchi; secondo, un altro personaggio deve esprimere, o almeno pensare, la realizzazione che sicuramente avrà colpito anche il lettore, ovvero quel "ma perché diamine lo hai fatto?" o quel "non funzionerà mai!".


Cosa ha a che fare tutto questo con l'incipit di lunedì? Presto detto.
L'incipit presentava una situazione che sapeva troppo da cliché per essere vera. Questa impressione, per poter rendere credibile la storia, doveva entrarci e influenzarla in qualche modo. Prima ancora di sapere che tipo di storia volevo raccontare, di quest'unico punto almeno ero certa.

Per capire come volevo sviluppare la storia, ho fatto ricorso a una semplice mappa mentale a partire dal titolo/tema proposto, Questione di equilibrio:


Molto poco articolata rispetto alle prime, lo ammetto, ma già sufficiente a offrire spunti interessanti, in particolare quel "terapia" (per cosa?) e il fatto che equilibrio può riferirsi al fisico o alla mente.

Sono passata ad analizzare gli elementi dell'incipit, il tempo verbale è come al solito al presente in terza persona singolare (ovvero, il personaggio presentato non è il narratore), descrive una sequenza di azioni senza dialogo. Ho cercato tra le righe le risposte alle cinque W del giornalismo, Who, What, When, Where, Why (Chi, Cosa, Quando, Dove, Perché).

Chi? Due persone, un uomo presente nella scena, e Paola, assente. Più un animale, il persiano bianco.
Dove? Una stanza, il balcone, il terrazzo e il cornicione del palazzo di fronte.
Quando? Ci sono due orari, cinque e sei e mezzo. Più probabilmente di sera, ma non escludo che possa essere di mattina (turno di notte?).
Cosa? Una "forma di terapia", riposo e ozio, una sequenza di azioni quotidiane.

La risposta al perché, e agli altri interrogativi rimasti in sospeso, spetta alla storia fornirli. Per ora mi fermo qui, a lunedì per il racconto che l'incipit mi ha ispirato, ma se sei curioso (allerta spoiler! Non proseguire se non vuoi rovinarti la sorpresa!) qui sotto ho raccolto le idee di trama che mi erano venute in mente.



Se non hai resistito alla curiosità, o se preferisci cercare di indovinare quale ho scelto di usare per proseguire da dove l'incipit si interrompe, sappi che ho cercato di sfruttare quell'idea di "ciò che è accaduto nell'incipit è falso" in modo creativo; importante era però mantenersi sul vago, centellinare gli indizi (che comunque devono esserci, per mantenere la coerenza della storia e quindi la sospensione dell'incredulità) fino alla rivelazione del colpo di scena finale, che può essere uno di questi:

  • La Terra è distrutta, lui è nella sala ologrammi di un'astronave e il gatto che fa quella cosa è un ologramma programmato male (scompare?). Paola è: Personale Automatico OLografico di Assistenza. Lui è l'unico psicologo di tutta la nave e deve mantenere una sorta di normalità/equilibrio
  • Lui vede i fantasmi. Il gatto è un fantasma e quella cosa è attraversare la parete. Il suo lavoro può avere o meno a che fare con questo, deve mantenere l'equilibrio perché non è facile poter vedere al di là
  • Paola è morta/non è mai esistita: lui mette il giornale e la bibita lì prima di uscire per poter fingere che lei ci sia. Cosa fa il gatto? O lui, se la frase è riferita all'uomo?

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