giovedì 12 gennaio 2017

Il finale nell'incipit e altre briciole

Prova a pensare alle storie che ti sono piaciute di più. Le trame che ti hanno più coinvolto, stimolato, stupito e intrigato. Quelli che rileggi più e più volte. Che cosa hanno in comune?

Per quanto mi riguarda è perfettamente chiaro. Da lettrice sono giunta alla conclusione che sia questo: le storie che hanno già un velato suggerimento al finale nell'incipit, e che sono cosparse di indizi, forse ambigui e difficilmente individuabili alla prima lettura, ma che già a una seconda si possono raccogliere per seguirne il percorso, come briciole di pane lasciate cadere in un bosco. Sarà che amo rimuginare sulle trame, cercare di anticipare le scelte dell'autore, capire come avrei proseguito io la storia, sviscerare i meccanismi della narrazione. Io provo a rintracciarle già dalla prima lettura, anche se so che a volte mi porteranno fuori strada, facendomi immaginare tutt'altra storia, scene che mai avverranno e che a volte rimpiango di non poter leggere. Ma poi ripercorro la strada, trovo i giusti indizi, e capisco che non poteva andare in altro modo che così.

Da scrittrice semino le mie briciole perché altri possano seguirle. Piccoli riferimenti. Frasi perfettamente normali che sono in realtà metafore per qualcos'altro. Situazioni che ne rispecchiano altre di simili, più avanti nella storia. E oscillo spesso tra due opposte domande, nell'aggiustare il tutto. Avrò messo abbastanza indizi affinché si possa intuire, soltanto intuire, dove intendo dirigermi? Ho rivelato troppo e troppo presto, togliendo ogni possibilità di sorprendere chi legge?


Seminare indizi è quello che ho fatto in P.A.O.L.A., fin dal titolo. In questo tipo di concorso non potevo, ovviamente, modificare l'incipit per inserire un riferimento al finale del racconto, così ho scelto di sfruttare quell'impressione di perfetta irrealtà da cliché scontati per costruire su questa il racconto, che ho cosparso di briciole di pane come se non ci fosse un domani. Il gatto che il protagonista ha voluto e studiato pelo per pelo. Le sigarette che stanno per finire e di cui il protagonista dovrà fare a meno (lo ammetto, un mio personale messaggio-pubblicità antifumo, vezzo che ho scoperto recentemente di condividere con Asimov, che ha messo le sue opinioni al riguardo in un racconto dei Vedovi Neri). Il cibo che viene dalla serra. La televisione che trasmette solo repliche di programmi già visti. Paola come una perfetta geisha, che siede a tavola ma non mangia. E i dialoghi, quel “Ti manca mai la terra sotto i piedi?”

Non so se le briciole sono troppe, o troppo poche, per quella che è una rivelazione che sembra venir fuori dal nulla, all'improvviso: tutto è finto, il protagonista è uno psicologo in un'astronave, e il mondo è esploso. Te lo aspettavi, o è così istantaneo e immediato questo cambio di prospettiva da far perdere di credibilità alla storia?

Questo tra i racconti che ho scritto per il concorso, è assieme a quello che lo precede uno dei due che mi piacevano di meno (piacevano, perché a rileggerlo ora, lo sto rivalutando... forse mi sono ammorbidita). Uno dei motivi è questo finale un po' troppo affrettato, sbrigativo. Il secondo motivo è che si tratta di fantascienza... senza scienza. Nessuna spiegazione su come il mondo sia esploso. Nessuna per quanto riguarda l'astronave, la meta, la lunghezza del viaggio, il tipo di motore, quante e quali persone la abitano. Non un accenno al funzionamento della "sala ologrammi" in cui si svolge tutta la storia. Il perché è presto detto: io stessa non ne ho idea. Non ho sufficienti conoscenze in materia per poterlo immaginare. Ebbene sì, posso spiegare la "logica" secondo la quale funzionano i sistemi di magia dei miei universi fantasy, conosco la mitologia della creazione dei mondi, riesco a rintracciare le "parentele" tra le varie specie e creare plausibili meccanismi biologici. Ma quando si arriva alla tecnologia e alle leggi della fisica, la mia infarinatura in materia non è sufficiente a rendere realistico l'impossibile.

Una mancanza che un giorno o l'altro, forse, riuscirò a colmare.


Le tre frasi che riporto stavolta sono tutte riferite all'equilibrio, o indizi da seguire per giungere all'epilogo del racconto.

Non c’è niente come un gatto per insegnarti l’equilibrio.
Forse solo così si può contemplare l’immensità dell’universo e non uscirne cambiati; o almeno, lui lo spera.
Sa che non è reale, ma sa anche che a volte l’equilibrio non si può trovare; a volte, lo si può solo creare.

Arrivederci a lunedì per il prossimo incipit!

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