lunedì 9 gennaio 2017

P.A.O.L.A.

(incipit in corsivo di Giusi Marchetta)


      E’ il suo segreto, questa forma di terapia.

      Alle cinque, quando ha finito, non vede l’ora di tornare a casa, di togliersi le scarpe e di mettersi in poltrona.

      Di solito ha un giornale e una bibita già pronti sul tavolino perché a Paola piace coccolarlo.

      Lui beve, legge, si riposa, poi va a fumare una sigaretta sul balcone e aspetta.

      Verso le sei e mezzo spunta il gatto sul terrazzo di fronte.

      E’ un persiano bianco, di quelli di razza.

      Si guarda intorno, poi con un salto raggiunge il cornicione più in basso e fa quella cosa.

      Lo ha voluto lui il gatto. Lo ha studiato fin nel minimo dettaglio, pelo per pelo, eppure non si stanca mai di osservarlo quando, puntuale come sempre, percorre la sua personale passerella. Si pavoneggia, lento ed elegante su quella stretta striscia di pietra, quasi fosse una modella o un’attrice famosa.

      Lui sogghigna. “Non c’è niente come un gatto per insegnarti l’equilibrio.”

      Il persiano sparisce oltre l’angolo, lui spegne la sigaretta consumata fino al filtro e guarda quelle rimaste: due, ed è il suo ultimo pacchetto.

      “Dovrò smettere di fumare” considera tra sé. Un’altra piccola abitudine a cui deve rinunciare. Ma lo sa, il tabacco non è indispensabile.

      Sente un fruscio di seta, due braccia snelle che gli cingono il ventre e il lieve tocco di un corpo che aderisce alla sua schiena.

      “Vieni dentro, caro.”

      È Paola. Le piace coccolarlo. No, non è esatto: lei è nata per coccolarlo.

      Lui si volta e la fissa negli scuri occhi a mandorla, poi prende una ciocca di serici capelli neri tra le dita. Fa ancora uno strano effetto poterla toccare, anche se è passato molto tempo da quando è entrata nella sua vita. Paola. Lei ricambia lo sguardo, silenziosa e paziente. Oggi ha indosso un kimono rosa, con la silhouette di un ramo fiorito che le attraversa la gonna.

      Lui avrebbe potuto avere qualunque altra Paola, magari una massaia un po’ in carne per completare il quadretto familiare, e invece no. Ha preferito un tocco d’esotico accanto a sé, una geisha: l’unica concessione ai suoi bassi istinti maschili. Questa Paola è perfetta, quasi troppo, ma lui non riesce a rinunciare a lei. È la sua terapia, lei e tutto il resto.

      Lascia la sua ciocca e l’abbraccia. “Ti manca mai la terra sotto i piedi?” le chiede.

      Lei lo guarda, stupita. “Non capisco cosa intendi.”

      “No, certo” ammette lui. Paola è troppo giovane per ricordare com’era prima.

      “Sciocchino, torniamo dentro. La cena è pronta” gli dice lei. Si scioglie dall’abbraccio e lo precede, tenendolo per mano. Ha un sorriso raggiante quando lo fa sedere a tavola. Ha apparecchiato per lui soltanto.

      Mentre mangia gli spaghetti lei tiene le mani in grembo e lo osserva con attenzione, quasi curiosa, come se stesse guardando il suo programma preferito. La televisione è spenta: ormai fanno solo vecchi show e repliche di programmi già visti. Gli unici rumori sono quelli di lui che mangia, e il ticchettio di un orologio a muro che scandisce i secondi.

      “Sono buoni?” gli chiede Paola con un pizzico d’ansia.

      “Sì” risponde lui. Poi alza la testa, la guarda e le dice: “Grazie.”

      Sa che per lei non ha importanza, ma sono questi piccoli gesti che lo mantengono sano. Lui lo sa meglio degli altri, perché è un professionista in materia di equilibrio.

      “I pomodori vengono dalla serra” commenta lei, allegra.

      “Che cosa non viene dalla serra, di questi tempi?” replica, contagiato dal suo sorriso.

      Dopo un po’ il fatto che lei lo guardi senza mangiare nulla lo mette a disagio. Non è normale. Glielo fa notare.

      “Carico il programma cena” propone Paola.

      Lui alza la mano per fermarla. “La prossima volta,” le dice. “E non parlare di programmi, per favore.”

      Preferisce pensare che lei sia a dieta, o che abbia già cenato.

      Paola annuisce. “Come vuoi, tesoro.”

      Dopo cena siedono sul divano. Lei gli massaggia i muscoli delle spalle, e ogni tanto gli sfiora la guancia con un bacio.

      Lui si sente in vena di confidenze. È bello poter parlare con qualcuno che non sia suo paziente. In fondo, Paola è lì per quello. Dopo aver parlato a lungo di lavoro, le chiede: “Non ti dispiace dover restare sempre a casa?”

      “Niente affatto, caro” replica lei con un sorriso. Non ha mai dato segno di essere infelice.

      “A me sì,” considera lui sottovoce. “Mi secca non poterti portare mai da nessuna parte, dover fare di te il mio segreto. Ma non posso permettere che capiscano quanto anch’io sono vicino alla follia. Siamo come gatti su uno stretto cornicione affacciato sull’abisso. Alcuni di noi hanno l’istinto per l’equilibrio; altri se lo devono inventare.”

      Le sfiora ancora una volta i capelli, poi li lascia ricadere, senza rumore, sulle sue spalle.

      “Per noi la vita è un viaggio senza meta né scopo, se non quello di sopravvivere. Ma tu uno scopo ce l’hai, Paola. Ce l’ha quel persiano bianco, e quando sono qui con voi mi sembra di averne uno anch’io.”

      Paola ride come una ragazzina e lo bacia sulle labbra. “Che discorsi seri fai stasera, amore” gli dice. “Rilassati, e non ci pensare.”

      L’orologio continua a scandire i secondi, fa da metronomo al duetto delle loro voci, alle risate e ai sospiri. Ma d’improvviso Paola si ritrae da lui, i tratti del suo volto si distendono in una maschera neutra, il suo sguardo di solito vivace e curioso si fa vacuo.

      “Dottore, la sua presenza è richiesta nell’alloggio 329. Il tenente De Luca ha avuto una crisi” dice, con una voce che non sembra nemmeno la sua.

      Subito dopo è di nuovo la sua Paola. Ma lui già impreca e cerca le scarpe.

      “Che cosa succede?” gli chiede lei con aria innocente.

      “Una chiamata di lavoro. Un’emergenza, devo scappare” le spiega. Trova le scarpe e le infila ai piedi. Guarda l’orologio a muro, la sua ora non è ancora scaduta. Non gli piace essere costretto a interrompere la terapia, ma non può farci niente. Non possono chiamare qualcun altro. Lui è l’unico psicologo rimasto abbastanza in salute per essere di qualche utilità ai suoi compagni di viaggio. Pur essendo professionisti, nessuno degli altri è riuscito a scoprire un segreto per l’equilibrio. Si rammarica, troppo tardi, di non aver voluto condividere il suo.

      “Spero che non sia un altro di quelli che si mettono a gridare: il mondo è esploso, il mondo è esploso!” borbotta tra sé. Non dice che qualche volta avrebbe voglia di gridarlo anche lui. A che servirebbe? Tutti sanno come stanno le cose.

      Si dirige alla porta d’ingresso, poi si volta. Emergenza o no, preferisce non dimenticare le buone maniere. Sono le piccole abitudini, i ritmi quotidiani che lo tengono sano. Forse solo così si può contemplare l’immensità dell’universo e non uscirne cambiati; o almeno, lui lo spera.

      “Buonanotte Paola” le dice.

      “Buonanotte caro. Sarò qui per te, quando vorrai tornare” replica lei. E sorride.

      Lui cerca a tentoni i due interruttori accanto alla porta. Spegne il primo, e Paola scompare. Spegne il secondo, e tutto diventa nero, poi bianco. Non c’è più il balcone, il gatto, il tavolo, l’orologio, il divano. Non c’è più niente, solo lui e un paio di interruttori identificati da due acronimi:

Camera
Astatica di
Simulazione
Ambientale

e

Programma
Antropomorfo
Olografico
Localizzato di
Assistenza

      Lui esce e si lascia quel sogno ad occhi aperti alle spalle. Sa che non è reale, ma sa anche che a volte l’equilibrio non si può trovare; a volte, lo si può solo creare.

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