giovedì 17 agosto 2017

Ricordare una storia (tra invenzione e realtà)

Storie. Ne sei immerso ogni giorno. Le respiri, le vivi. E non mi riferisco solo a libri o film a cui ti può capitare di appassionarti.

Fin dai tempi del "che cosa hai fatto a scuola?" e del "allora, facciamo che io ero..." hai cominciato a imparare gli strumenti del narratore. Più o meno capace, più o meno aderente alla realtà, non importa: quel che conta è che, senza rendertene conto, hai fatto il tuo debutto nella tela di racconti che anima ogni conversazione umana.

La prima storia della tua vita è memoria, e gioco.

Il primo modo di tramandare il ricordo e l'esperienza, storicamente, è il racconto orale.

Poi è venuta la scrittura. Per i nostri antenati, come per te. La scrittura che proietta un racconto lontano nello spazio e nel tempo, ben oltre la portata della tua voce. La scrittura che conserva le parole sotto vetro, come in un barattolo. La verità e la bugia, il ricordo e le invenzioni fantastiche della mente, tutte lì, nero su bianco, sulla carta o su uno schermo.

Ma perché partire da un ricordo per creare un racconto di fantasia, come ti ho chiesto di fare nell'esercizio Dalla vita alla pagina?

Perché sono fermamente convinta che qualunque volo pindarico, per quanto bizzarro, abbia le sue radici in un'esperienza, fosse anche soltanto indiretta, come lettura o visione di una storia. Come già mi è capitato di scrivere in questo blog, in fondo che cos'è un drago, se non una lucertola con ali di pipistrello? O una fata, se non una donna con ali di farfalla? O una sirena, se non... e va bene, la smetto, hai capito.

Vale però anche l'opposto. Ovvero che, per quanto aderente alla realtà tu scelga di rimanere con il tuo ricordo scritto, ciò che metti sulla pagina non sarà mai ciò che hai vissuto. Sarà qualcosa d'altro, filtrato attraverso le parole. La tua interpretazione di ciò che è stato. O di ciò che ancora è.

E a proposito di ricordi: mi ritorna in mente la frase di un professore del corso di Psicologia dell'arte e della scrittura. Portando a esempio la Dublino di James Joyce, lui spiegò che la città di cui Joyce ha scritto, per quanto rassomigliante, per quanto descritta in dettagli che realmente esistono, o esistevano, in realtà NON È la Dublino in cui un suo contemporaneo avrebbe potuto camminare. La Dublino di cui James ha scritto esisteva solo nella testa dello scrittore.

E allora, se anche scrivendo di un evento realmente accaduto noi stiamo mettendo su carta qualcosa che esiste solo nella nostra testa, non ha uguale dignità lo scrivere di un evento accaduto non esattamente in quel modo, o lo scrivere di un evento mai davvero avvenuto?

In fondo, secondo qualcuno, ogni storia mai scritta si è realizzata davvero... da qualche, nel multiverso.

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