sabato 20 gennaio 2018

Zimarra

Questa l'ho vista spesso, tra i personaggi dei quadri e i costumi delle rievocazioni storiche. Ma non ho mai saputo come si chiamasse... fino a oggi.

Zimarra [zi-màr-ra] s.f. 1. Ampia e lunga sopravveste, con maniche molto larghe, usata dalle persone di riguardo soprattutto nel Seicento. 2. Vestaglia lunga da camera.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Come al solito, la scelta più facile è un'ambientazione storica o fantasy medievaleggiante. Ma io che vado sempre a pescare tra le scelte difficili, ho deciso di restare ai giorni nostri e riprendere uno dei personaggi di Egida. La zimarra sarà un po' "fuori tempo", ma così passa da semplice capo di abbigliamento a elemento caratteristico.


– Sei preoccupata.
Ascoltai la sua voce senza alzare gli occhi dal tavolo di lavoro. Sfilai l'ago dal tessuto lucido e il filo argentato lo seguì. Tirai per fissare il punto al suo posto. – Ah sì? E da cosa lo deduci?
– Stai cucendo rune protettive sulla tua zimarra.
Sospirai e accarezzai il colletto vellutato. Lasciai che la mia mano percorresse il tessuto fin oltre l'attaccatura dell'ampia manica. Una zimarra, un abito antico per un'anima antica. Era stato lui a regalarmela, quando me n'ero innamorata nel vederla in vetrina. Ma ero stata io a entrare nel negozio ad acquistarla, poiché lui per il mondo non esisteva. Esisteva solo per me.
Le mie dita incontrarono le linee argentate tracciate dal filo. Ritrovai il punto, pizzicai il tessuto e infilai di nuovo l'ago. – Non sono protettive – gli spiegai. – Sto rafforzando un vecchio incantesimo.
– Non funzionerà.
Aggrottai la fronte. Come faceva a restare così calmo, proprio lui?
– Devo fare qualcosa. Non posso restare con le mani in mano, mentre tu... – Le dita mi tremarono e non riuscii a proseguire, né con la voce, né con l'ago. Alzai gli occhi e fissai la sua figura traslucida protesa sul tavolo. Era sempre meno presente, ogni giorno. Ormai non riuscivo nemmeno più a sentire il suo tocco.
– Ti prego, non lasciarmi – mormorai, allungando una mano. Lui non si mosse per prenderla. Tanto era inutile, il suo corpo rarefatto l'avrebbe attraversata.
– Sapevamo che sarebbe accaduto.
Non potevo afferrarlo, trattenere lui, perciò abbassai gli occhi e strinsi nei pugni il velluto della zimarra. – Non voglio crescere le nostre figlie da sola. Luna, Rugiada... hanno bisogno di te. Io ho bisogno di te.
– No, non è vero. Sei più forte di quello che credi. È tempo di lasciarmi andare.
Fuori dalla stanza, la luce del giorno si stava spegnendo. A malincuore tagliai il filo e fissai il punto con un nodo. Girata verso la finestra, indossai la zimarra sopra il vestito, poi mi voltai.
Non riuscii mai a chiedergli come mi stava.
Lui era sparito.

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