lunedì 22 gennaio 2018

Fidarsi di un bugiardo

(racconto ispirato dall'esercizio Memorabile

Personaggio: Tia Midsummer

Esito del dado: 1
Una frase, un'imprecazione inconsueta, un modo di dire.

Ho scelto come imprecazione: Galam!)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Mi ero accorta dell'ombra che mi stava addosso. Mi seguiva, come minimo, da quando avevo lasciato la Locanda del Granchio Azzurro. Ma finché non gli avessi dato un'occhiata più da vicino, non avrei saputo dire se la sua era una delle brutte facce che avevo incontrato prima, al Ritrovo del Guercio.
– Galam! – imprecai tra me. Proprio quando pensavo che mi stesse andando tutto bene... troppo bene.
Era un'abitudine che avevo preso anni prima, ma al Corvaccio non era mai piaciuto che pronunciassi in pubblico il nome del Dio Nascosto, il Grande Ingannatore. M'aveva dato una bella strizzata sulla spalla una volta, tanto da farmi mugolare di dolore in quell'età in cui ormai non mi lamentavo quasi più.
– Che c'è? – avevo sbuffato quella volta. – Di che hai paura, vecchio? Nessuno sa che vuol dire. Solo quelli come noi.
– Appunto – mi aveva risposto lui. – E tu ti fideresti abbastanza di qualcuno come noi da spifferargli chi sei e lasciare che faccia ciò che vuole con questa informazione?
Il Corvaccio era fissato con cose del genere, ma non potevo negare che mi avesse insegnato bene il mestiere.
Appena possibile m'infilai in un vicolo, rallentai il passo e con la coda dell'occhio la vidi. L'ombra non mollava. Mi aveva seguito nel vicolo.
Ripresi a camminare svelta e nel frattempo mi tastai le tasche e le scarselle appese alla cintura, alla ricerca di qualcosa da poter usare come arma. Tra i miei attrezzi da lavoro, forse l'unico che potesse servirmi anche a quello scopo era un grimaldello dall'estremità seghettata. Lo strinsi in mano. E guardando avanti, di nuovo imprecai: – Galam!
Due persone mi venivano incontro dall'altro lato del vicolo, intabarrate fin sopra il naso e con un cappello in testa. Non sapevo se fossero amici dell'ombra, o semplici passanti.
Amici miei no di certo.
E mentre ci ragionavo sopra, in attesa della loro mossa, mi accorsi di aver commesso un errore. Avevo dimenticato l'ombra alle mie spalle.
Me ne accorsi quando quella mi afferrò e mi spinse sotto la volta ad arco di un portone. Con una mano mi bloccò contro il legno della porta il pugno in cui stringevo il grimaldello, con l'altra mi puntò  un coltello alla gola.
Alle sue spalle, i due tizi intabarrati passarono oltre in tutta fretta, non troppo desiderosi di lasciarsi coinvolgere in una faccenda che non li riguardava.
La mia ombra, che si era rivelata essere un uomo castano con la bocca e il naso coperti da un fazzoletto nero, mi bisbigliò in fretta queste parole: – Ora sta fermo e ascoltami bene. Ti ho visto, sì, sia dal Guercio che al Granchio. Ho visto cos'hai fatto, come li hai fregati per bene. E giuro su Galam che intendo farti del male e che non ho un lavoro per le mani, uno che frutterà davvero tanto, in cui potrei aver bisogno di qualcuno con le tue peculiari abilità.
– Per Galam! – mormorai, fissandolo negli occhi. – Lo sai cos'è quello che hai appena detto, vero?
Un Giuramento Inviolabile. Chiunque lo conosceva, sapeva che non si giurava a cuor leggero in nome del dio dei pazzi, dei poeti girovaghi e dei bugiardi di professione. Nel suo nome era necessario giurare il falso, e fare in modo che mai diventasse vero. Farlo significava sfidare Galam, un dio, e contro un dio per un mortale era impossibile vincere.
La mia ombra annuì, abbassò il coltello e mi lasciò il pugno. – Sì, lo so. Ma non avevo altro modo per convincerti a fidarti di me.

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