Refolo [rè-fo-lo] s.m. Soffio di vento improvviso, folata.
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Trattandosi di vento, avevo il giusto personaggio e la giusta storia fin da subito, senza dover scartabellare tra i miei appunti. Stavolta non è stato difficile trovare un'ambientazione che rendesse giustizia al termine.
Non ho mai avuto paura dell'altezza.
Stare in piedi sull'orlo del dirupo è una cosa naturale per me, oggi come allora. Mia madre sarebbe morta di paura se mi avesse visto, quel giorno, strisciare i piedi sulla roccia fino a far sporgere gli alluci nel vuoto. Dicono di non guardar giù, ma che divertimento c'è se non lo fai?
L'abisso era un vortice di nebbia che offuscava i tetti della città. Riuscii a scorgere gli spioventi rossi del Tempio del Fuoco, l'edificio più imponente della capitale, e forse l'isola sede del Tempio dell'Acqua, al centro del lago a ovest. Quanto al Tempio della Terra, non sapevo di preciso dove fosse e non m'importava.
Io ero al di sopra di tutti loro.
Il cielo era immoto e caldo, prigioniero del sole del meriggio. Allungai un braccio e attorcigliai un po' d'aria attorno all'indice, come quando si arrotolano i capelli. Tirai verso di me e un refolo fresco sorse ad accarezzarmi la pelle, sollevare le ciocche più corte ai lati del viso e suonare una melodia con la seta leggera della mia gonna frusciante.
A volte sognavo di essere una nuvola. Di potermi sollevare da terra e volare via, libera, nel vento.
Chiusi gli occhi e allargai le braccia, e fu allora che lo sentii. Più irregolare del costante soffio del refolo nelle mie orecchie, come un drappo scosso dalle folate. Qualcosa di soffice e caldo si abbatté sulla mia caviglia.
Aprii gli occhi e balzai indietro. Ma era solo un giovane falco, poco più che un pulcino, che respirava in affanno dal becco dischiuso. Lanciò un verso acuto, e io provai a imitarne il suono.
– Syuss. Ti chiami così, piccolo? – Mi sedetti sui talloni. – Io sono Lyla. Ti sei perso? Dov'è la tua famiglia?
Scrutai il cielo, ma non c'era traccia di altri della sua specie. Allora presi il rametto spezzato di un faggio e ce lo feci salire.
– Andiamo, su, ti porto da Zefiro. Lui è il Sacerdote del Vento, sa tutto sulle correnti. Ti aiuterà a ritrovare la strada – mormorai al falchetto che dondolava sul ramo a ogni mio passo cauto e lento.
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