sabato 17 giugno 2017

Ninfeo

Non mi ricordo, ma mi sembra sia da un po' che non uso una parola con riferimenti alla mitologia, vero? Di driadi ho già scritto, ora tocca alle ninfe.

Ninfeo [nin-fè-o] s.m. 1 Originariamente bosco, fonte o altro luogo sacro alle ninfe. 2 arch. Nelle ville rinascimentali e barocche, complesso di grandiose fontane, spesso scavate nella roccia o dotate di grotte artificiali, colonne, nicchie e altri elementi decorativi.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Ero indecisa su quale dei due significati del termine usare per il brano che accompagna la parola Ninfeo. Il primo, che si presta maggiormente a un racconto fantasy? O il secondo, per un'ambientazione più moderna? O ancora, perché scegliere, quando li posso usare entrambi? Non ti rivelerò la mia decisione, per saperlo, devi leggere!


Il mio primo ricordo è una villa. Tutto quello che so è che ci lavorava mio padre.
Io trascorrevo le mie giornate all'aperto, da sola, nel giardino. C'erano tanti angoli nascosti che potevo eleggere a mio rifugio, ma il mio preferito rimaneva il ninfeo. Lo si raggiungeva oltrepassando un boschetto di pruni, aceri e pioppi: senza preavviso, sbucavi oltre le fronde per ritrovarti di fronte a un laghetto con un salice che si specchiava nell'acqua e, dall'altro lato, un complesso di colonne color avorio che delimitava un gazebo e un tempietto. A sinistra ricordo una parete di roccia da cui scendeva una cascata. In una nicchia scavata nella pietra, la statua di una fanciulla avvolta in veli tendeva verso l'acqua un'anfora; al suo fianco, un basso arco irregolare costituiva l'entrata di una grotta.
Qualche volta mia madre si univa a me e passavamo ogni minuto a nuotare e giocare nel laghetto, finché papà non mi trovava addormentata nel suo liquido abbraccio, entrambe in acqua, protette da una cortina di foglie di salice.
Mi manca quel posto. E mi manca lei.
Quando gli disse che l'altro mondo stava cambiando e che non poteva più tornare da noi, mio padre mi portò via dalla villa e per me cominciarono gli incubi.
Sognavo di essere dall'altra parte, nel luogo da dove lei veniva. Da dove venivamo anche noi, io e mio padre, gli Esiliati. L'altro mondo del mio sogno era così simile al ninfeo da farmi sentire una fitta al cuore.
La mia contemplazione del lago e delle colonne s'interrompeva bruscamente nell'udire le fronde spezzarsi alle mie spalle, e un poderoso ruggito che increspava l'acqua e sbriciolava le colonne.
Col cuore in tumulto correvo verso la grotta, solo per vederla crollare di fronte a me. Allora mi arrampicavo nella nicchia della statua, graffiandomi le dita sulla roccia, e m'infilavo dietro la fanciulla di marmo.
Zitta.
Immobile.
Le mani a coprire la bocca.
Finché un respiro caldo non sollevava i miei capelli, e gli artigli del drago mi ghermivano le gambe.

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