sabato 26 agosto 2017

Anacronismo

Non si può pensare di scrivere una storia fantascientifica di viaggi nel tempo senza conoscere questo termine. La prima volta che l'ho letto, si riferiva a una serie di dipinti con un dettaglio fuori posto, o meglio, fuori epoca.

Anacronismo [a-na-cro-nì-smo] s.m. 1 Errore cronologico per cui si collocano in un periodo storico avvenimenti o fenomeni accaduti in un'altra epoca. 2 fig. Estraneità, diversità rispetto alla propria epoca.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Di solito, quando mi accingo a scrivere qualcosa, comincio da un personaggio. Questa volta invece mi è venuto spontaneo iniziare visualizzando un luogo. E da lì, ricostruire ogni dettaglio: dove mi trovo, quando, chi sta narrando...


La piccola piazza al centro della metropoli era un anacronismo con le sue panchine di legno, i suoi lampioni a gas, la sua statua equestre talmente consumata dal vento e dalle intemperie da essere irriconoscibile e il suo orologio con i numeri romani e il quadrante offuscato da macchie verdastre. Il suo ticchettio, come un vecchio cuore malato di un sogno cresciuto troppo in fretta, scandiva il ritmo del brulicare nei grattacieli attorno alla piazza.
Mi piaceva, quel posto. Nel tardo pomeriggio, soprattutto in inverno, quando le ombre dei colossi di vetro e metallo eclissavano il sole e forzavano la notte a calare più in fretta, io mi sedevo su una di quelle panchine e osservavo. Mi chiedevo se almeno uno di coloro che passavano senza guardare e senza fermarsi conoscesse il segreto di quel luogo. Perché era stato conservato, mentre tutto ciò che lo circondava era mutato, passato oltre.
Io lo sapevo. Sapevo che, sebbene l'impressione fosse quella di una piazza antica, vecchia di secoli, in realtà era già così all'epoca della sua costruzione; e ancora adesso, tanta fatica e tanto denaro vengono spesi per conservarla com'è stata creata.
Avevamo qualcosa in comune, io e quella piazza. A mio modo, ero anch'io un anacronismo, un oggetto fuori posto in un'epoca che non mi apparteneva. È difficile spiegare, e pensavo che non avrei mai dovuto farlo. Ma Alan era curioso. Troppo, per la sua salute.
Mi raggiunse una di quelle sere. Si sedette accanto a me sulla mia panchina preferita e mi tese un foglio olografico.
– Spiegami questo – mi disse.
Sopra il foglio danzava l'immagine di una me stessa più giovane che stringeva la mano, in quella stessa piazza, a una versione di Alan molto più vecchia.

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