giovedì 13 luglio 2017

Il piatto preferito

(racconto ispirato dall'esercizio Assaporare un concetto. Ancora gusti ed emozioni/peccati, ma da una diversa prospettiva)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 
 
Fissai Belial, che ricambiò il mio sguardo da oltre il tavolo della cucina. Appoggiai il mento sulle braccia conserte e mugugnai. Da seduto, i miei piedi ancora non toccavano terra se non con la punta delle scarpe, se mi allungavo un po'.
– Non avere fretta, ragazzino – mi disse Belial, con voce stridente eppure sensuale. – Troverai il tuo... piatto preferito. Lo troviamo tutti.
Intendiamoci: Belial, a differenza di me, non era costretto a mangiare. Non era una metafora che avrebbe usato, quella culinaria, se non fossi stato io a descrivergli così ciò che provavo nel soddisfare la metà di me che non era umana. Perché era così che l'avevo percepito, fin dalla prima volta, fin da quando Belial mi aveva portato in mezzo agli umani della mia età e io avevo sentito distintamente, come se fosse stata reale e concreta sulla mia lingua, la gelosia tra fratelli. Ero riuscito a esacerbarla e a godermi, mentre fioriva, il suo sapore piccante, come il curry del riso all'indiana che Belial aveva portato a casa per me la settimana prima. E da allora ho sempre percepito la gelosia, che fosse tra amanti, tra fratelli o altro, come corposa e speziata cucina indiana. L'invidia, che molti confondono con la gelosia, era invece più nordica, più magra, con abbondanti tracce di sale e di pesce, come il salmone affumicato
Ma nessuna delle due era il mio piatto preferito, nessuna mi soddisfaceva appieno, e a causa della metà di me che era umana, temevo che non avrei mai trovato ciò che cercavo.
Quel giorno me lo ricordo bene. Belial e io eravamo appena tornati da una visita a uno dei quartieri malfamati di una città di cui non posso fare il nome, poiché ancora oggi la frequento. Belial aveva indossato una delle sue pelli preferite, ed eravamo una strana coppia: una prostituta e un bambino che camminavano a testa alta come se il mondo gli appartenesse. E in parte era così.
Belial mi aveva condotto ad assaggiare alcuni tra i suoi peccati "di gola". Prima avevamo fatto visita a quella che avrei potuto definire una casa di piacere, non fosse stato che io ne avevo tratto ben poco gusto. Là scoprii che la lussuria era per me come la cucina crudista: verdure insipide e legnose, tutto nutrimento e niente sapore, che non mi saziavano affatto. Non era quello di cui avevo bisogno come infero, ed ero troppo giovane per apprezzarlo come umano.
Poi Belial mi aveva condotto quasi nel mezzo di un litigio tra bande rivali. La violenza alimentata dalla rabbia era dolce, ma di quel dolce che dopo il primo assaggio mi aveva già stancato, come acqua zuccherata versata a forza nella mia gola. Nemmeno l'occasionale spruzzata di paura di coloro che fuggivano, o che rimanevano a terra agonizzanti, poteva stemperarla: era come aggiungere aspro succo di limone. Un mix rinfrescante, ma non avrei potuto vivere solo di quello.
E l'astuzia, la manipolazione che Belial adorava sopra tutto, era una cucina dai sapori troppo ricercati per il mio palato. Gusti strani, quasi sintetici, che non avrei saputo definire.
– Ho ancora fame – dissi a Belial, tornati a casa. – Posso andare da qualche parte?
– Ricorda le regole. Dieci minuti, ragazzino.
Dieci minuti nel mondo esterno, questo era il massimo che Belial mi concedeva quando mi muovevo da solo. Questo era il massimo che poteva avere qualcuno come me, con una condanna a morte sulla sua testa da prima ancora di nascere. Non ero in grado di nascondermi a loro, e più tempo passavo lontano dalla protezione di Belial, più aumentava il rischio che mi trovassero.
Mi ero infilato in quel posto, tra musica e alcool, sperando in una rissa al sapore di meringa. Invece, trovai qualcos'altro.
Il primo impatto fu rinvigorente, amaro e gustoso come una tazza di espresso italiano.
Dicono che sia la cucina migliore al mondo. Ho avuto occasione di assaggiarla: non è male.
Ma quello era ancora meglio. Una varietà di sapori diversi, verdure condite con olio di oliva e arrosto in un intingolo di mele  e pasta al ragù e oh... era come un pranzo completo, un pranzo al contrario che mi lasciò satollo e soddisfatto come non mi era mai accaduto.
L'esaltazione della folla. Quella follia collettiva, come una marea montante a ogni nota, quel fanatismo cieco che avrei potuto controllare e dirigere con le mie canzoni, se solo ci fossi stato io sul palco.
Sorrisi, forse per la prima volta nella mia vita, mentre mi giravo e tornavo a casa. Avevo trovato il mio piatto preferito, e negli anni a venire avrei saputo come trarne il massimo godimento.

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