sabato 14 gennaio 2017

Meandro

Trovo interessante come alcune parole possano indicare contemporaneamente luoghi reali e metaforici. Come se non ci fosse differenza tra ciò che sta fuori e ciò che sta dentro di noi, come se riportassimo all'interno della mente architetture e paesaggi visti attraverso i nostri occhi.

Meandro [me-àn-dro] s.m. 1. Ansa formata da un fiume.  2. estens. Tracciato, sviluppo tortuoso e intricato di strade, passaggi, luoghi, edifici in cui è difficile orientarsi. Labirinto. 3. fig. (al pl.) Parte impenetrabile dell'animo umano. Intrecci, complicazioni.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 
 
E sono gli occhi a darmi spesso lo spunto per una storia. Una parola suggerisce un'immagine, un'immagine suggerisce domande: chi sono quelle persone? Che cosa stanno facendo? Perché mai quel tizio è legato e imbavagliato?
 
 
Ho perso il mio diario. E anche se lo avessi non riuscirei a scrivere nulla: sento le corde stritolarmi i polsi dietro la schiena, le caviglie e le gambe ripiegate scomodamente sotto di me avviluppate in un intreccio di nodi. Non so dove sono, ma so che devo cercare di ricordare ogni cosa. Ho sempre avuto problemi nel ricordare, in certe condizioni.
Devo partire dalle cose più semplici. Mi trovo su una stretta e lunga imbarcazione. Una canoa. A prua c'è una donna, in piedi, che la manovra con una pertica: non le serve per remare, bensì per tenerci al centro del fiume, lontano dalle rive ripide. L'acqua livida ci sospinge nei complicati meandri scavati nella roccia e turbina in mulinelli lamentosi attorno alle pietre che affiorano in superficie. È il vento che ulula così, sospingendosi tra le pareti del canyon?
La canoa sobbalza e s'inclina. Tra le onde, volti deformati, dalle orbite vuote e le bocche spalancate, come in quel quadro. Chiudo gli occhi. Non posso fidarmi di quello che vedo. Non posso.
Un mugolio mi sfugge attraverso il tessuto del bavaglio.
– Non ti agitare, cucciolo. – La voce della donna è stridente. – Presto sarà tutto finito.
Ho sempre cercato di non perdermi dentro di me, sempre, o almeno da quando ho iniziato a scrivere il diario. E adesso mi sono perso al di fuori.
C'è un'unica direzione in cui posso rivolgermi. Mordo il bavaglio, stringo forte con i denti e cerco. Cerco nei meandri della mente una di quelle volte di cui non ho memoria, cerco il sapore del sangue, cerco la furia.
Quando apro gli occhi sono ancora qui, legato, e la donna è ancora al suo posto. Non è successo niente. È la prima volta che mi ritrovo a maledire il mio guinzaglio fatto di chimica e pillole.
Sopra di noi due figure sorvolano il canyon. Sembrano avvoltoi, poi mi accorgo che le lunghe gambe, la testa, le braccia con cui reggono le lance non appartengono a dei volatili.
– Non così presto come pensavo. – La donna solleva la pertica e spalanca enormi ali da pipistrello.

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