sabato 7 gennaio 2017

Languore

Languidezza, languido, languire, languore, languoroso... la scelta non è stata semplice. Ero tentata dal verbo, finora ne ho "collezionato" solo uno, ma alla fine ho lasciato che fosse il suono delle parole a guidarmi e ho deciso di usare quella che a mio avviso è la più musicale.

Languore [lan-guó-re] s.m. 1. Spossatezza, abbattimento fisico o spirituale, debolezza, prostrazione.  2. estens. Atteggiamento di dolce abbandono, tenerezza svenevole e appassionata.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Questo è un termine che si presta a descrivere molteplici situazioni, ma fin da quando l'ho scovato nel dizionario, non ho avuto in mente altro che una singola scena. Non mi ricordavo nemmeno i nomi dei personaggi, ma la situazione mi è rimasta talmente impressa da ritornarmi vivida in mente alla lettura di una sola parola.


– Chi devo uccidere stavolta?
Mi affacciai sulla soglia del salotto: Katrina era abbandonata sul divano in uno stato di languore rancoroso, le palpebre socchiuse, le labbra serrate e un pugno mollemente stretto. La destra la teneva alla fronte.
– Non lo conosci – rispose in tono fiacco. – Viene da fuori. Lascia stare, non importa.
La borsa del ghiaccio mi stava gelando le dita, perciò mi affrettai a raggiungerla, mi sedetti e le scostai la mano dalla fronte. Esaminai il grosso livido violaceo che proseguiva sotto l'attaccatura dei capelli. Sembrava molto più vecchio di quanto lei volesse farmi credere. Tastai la pelle attorno e la vidi trasalire.
– Ti fa male?
– Solo nell'orgoglio. – Katrina serrò le palpebre e mugolò: – Odio perdere.
– Non ti posso lasciar sola un momento che vai a infilarti in una rissa? – scherzai, tirandole indietro i capelli. per guardare fin dove si estendeva il livido. Le sistemai la borsa del ghiaccio sulla fronte e  le passai le mani sui fianchi coperti dalla camicetta. Volevo scoprire se mi stava nascondendo altre botte, ma lei lo interpretò in tutt'altro senso.
Aprì le palpebre e sorrise. – M-M-M-My Sharona! – canticchiò, preda di un languore malizioso. Trasalì quando le feci scivolare le dita sullo stomaco.
Katrina allungò le mani, io le afferrai i polsi. – Adesso basta, questa storia finisce qui. Si va all'ospedale.
Se lei non voleva prendersi cura di sé, lo avrei fatto io.
– No! – protestò Katrina mentre la strattonavo per farla alzare. – Niente ospedali, niente medici, io sono una guerriera!
– Sarai anche una guerriera, ma sei una guerriera ferita. Perciò adesso o ce ne andiamo all'ospedale o ti decidi a dirmi chi è stato.
– No! – Katrina puntò i piedi. Faceva più capricci di una bambina. – No, tu non capisci, ho firmato un contratto, non posso, lasciami, Sharona... Sharona, è un gioco!
Le mollai i polsi. Katrina cadde scomposta sul divano. Ci osservammo, poi lei schiuse le labbra e capii che era finalmente pronta a parlare.

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